giovedì 10 gennaio 2013

Storie della diaspora: Abraham Nesmeyan


DA PICCOLO ESULE ARMENO A PROFESSORE,
CAVALIERE E COMMENDATORE DELLA REPUBBLICA ITALIANA
LA VITA DI MIO PADRE ABRAHAM NESMEYAN

Il nonno Giorgio (Kevork) Nassimian, padre di mio padre Abraham, era di Mardin, città all’estremo sud orientale della Turchia.
Il nonno aveva tre figli, due maschi e una femmina.
Uno dei maschi, appunto mio padre, nacque l’8 giugno 1893. L’altro maschio, cioè mio zio, emigrò in Venezuela. La femmina, diventata suora, emigrò in Egitto dove insegnava ai bambini e dove il cugino di papà, Nassimian, era vescovo degli armeni cattolici a Cairo.
A Mardin, paese abitato prevalentemente da famiglie armene cattoliche ma anche da turchi, curdi e arabi, viveva Monsignor Ignazio Maloyan, vescovo della chiesa cattolica armena che in seguito diventò martire, così come mio nonno che fu ucciso nel 1915.
In questa stessa chiesa, nonno Giorgio, aveva una stanza adibita a scuola, dove insegnava ai bambini armeni, turchi, curdi e arabi del paese e dove pure mio padre ricevette i primi insegnamenti.
I massacri iniziarono a Costantinopoli e poi dilagarono nei vari paesi della Turchia orientale, quali Sivas, Erzerum, Trebisonda, Urfa, Mush, Tokat ecc. Poiché il pericolo si avvicinava a Mardin, il vescovo Maloyan radunò i capi famiglia armeni, suggerendo di salvare almeno i bambini, poiché nei paesi già citati, questi venivano infilzati con le spade, davanti alle proprie madri, che dopo stuprate, venivano uccise pure esse.
Così si preparò l’esodo dei piccoli con l’aiuto della Croce Rossa e qualche organizzazione umanitaria. Si radunarono molti asini e muli, sul cui dorso si legavano 2 ceste, che servivano per trasportare i bambini, uno a sinistra e l’altro a destra, formando una carovana, che viaggiava verso sud, verso la Siria, l’Irak, il Libano, la Palestina.
In questa carovana, si trovava pure il piccolo Aproham, cioè mio padre di 8-9 anni d’età, appollaiato in una cesta, dopo aver lasciato i genitori con profonda tristezza.
Dopo un lungo e estenuante viaggio, stanchi e affamati, giunti in Libano, vennero sistemati un po’ nelle scuole e un po’ nelle chiese, in attesa di venire smistati in paesi cristiani. Qualche mese appresso, venne il turno di mio padre, che fu imbarcato su una nave italiana diretta in Italia. Il viaggio durò circa otto giorni e appena arrivato a Napoli, il piccolo esule fu portato a Roma presso il Collegio Armeno Cattolico di Via Nicola da Tolentino, dove crebbe e studiò con profitto da seminarista, laureandosi in filosofia e teologia, con il fine di prendere i voti.


In questo collegio, Aproham conobbe vari seminaristi, alcuni dei quali diventarono famosi, come il cardinale Agagianian, che prima divenne rettore del Collegio Armeno e in seguito vescovo e infine cardinale. Nel concistoro che poi nominò Papa Giovanni XXIII, fu indicato a diventare papa ma egli rifiutò.
Mio padre mi raccontava che l’amico seminarista Agagianian, da studente, era così intelligente, che ogni fine d’anno veniva premiato con medaglie e diciture di encomio in latino. Io ebbi la fortuna di conoscerlo.



Ma torniamo alla vita di mio padre. Finiti gli studi a Roma, pensò non opportuno prendere i voti per qualche incertezza e poca convinzione. Il rettore di allora a questo proposito gli disse “meglio un bravo padre di famiglia che un cattivo prete”.
Essendo a conoscenza della lingua araba (a Mardin gli armeni parlavano l’armeno, l’arabo, oltre al turco e al curdo) volle andare a Napoli, all’università Orientale, dove prese la laurea in lingua araba, al corso di laurea del famoso orientalista, Preside Nallino, con il quale si laureò. Quindi tornò a Roma per cercare un impiego.
Al Collegio gli fu suggerito di andare in Libia che dal 1911 era sotto l’amministrazione italiana, dove certamente la lingua araba gli sarebbe stata utile. Così nell’anno 1917 si imbarcò per Tripoli.
In Libia conobbe le poche famiglie armene di artigiani e qualche commerciante, scampate ai massacri del 1896-97. Per loro l’arrivo di un letterato e persona colta era un grande onore e avrebbero gradito di sistemare qualcuna delle loro figliole. Infatti conobbe una brava ragazza armena, mia madre, e nel 1923 si sposarono.
Ebbero quattro figli, tre maschi (tra cui io) e una femmina.
Divenuto cittadino italiano, fu professore nei licei italiani insegnando la lingua araba. Era molto stimato dalle autorità italiane così come da famiglie notabili arabe, i cui rampolli sotto il regno di  re Idris, divennero ministri (i Muntasser, i Caramanli, i Gritli ecc) mantenendo sempre stima e affetto per il loro professore. Sotto il ventennio, il governatore della Libia era il maresciallo dell’aria Italo Balbo, membro del triumvirato, trasvolatore dell’Atlantico, che partito da Orbetello con 24 idrovolanti Savoia Marchetti visitò gli Stati Uniti e il Sud America.
Quando Balbo al suo arrivo a Tripoli fece il discorso alla popolazione araba, a fare la traduzione simultanea fu chiamato il professor A. Nesmeyan che tradusse pure il discorso di Benito Mussolini quando ricevette la “Spada dell’Islam” dai libici.
Si viveva in armonia nel villino di sei stanze, con alberi da frutta e pergola di uva quando nel 1939 scoppiò la seconda guerra mondiale. Nel 1940 l’Italia entrò in guerra a fianco della Germania nazista. Anche le città libiche subirono bombardamenti e nel 1943 gli alleati occuparono le città. L’Italia lasciò il territorio divenuto terra di occupazione alleata.
Anche sotto l’amministrazione Britannica, mio padre fu chiamato a lavorare quale interprete e insegnante nelle scuole.
Dopo la guerra, l’ambasciata italiana lo convocò offrendogli il posto di traduttore e interprete giurato. Il susseguirsi di ambasciatori italiani, fu occasione per mio padre per accompagnarli a presentare le credenziali ai vari ministri e perfino a Re Idris, avendo avuto la Libia l’indipendenza nel 1951.
Vi fu un fatto molto simpatico: dovette accompagnare l’ambasciatore italiano da quello sovietico che era un armeno e in quella occasione la traduzione fu simpaticamente fatta in armeno!
La vita proseguiva abbastanza tranquilla, con molto lavoro, in seguito alla scoperta del petrolio in Libia tanto che Io lavorai per tredici anni con la Esso Standard.
Il 1° settembre del 1969, le cose cambiarono drasticamente: un gruppo di ufficiali dell’esercito, con a capo il sottotenente Gheddafi, fecero un colpo di stato, cancellando la monarchia e trasformando il paese in una repubblica.
Gli stranieri dovettero lasciare la Libia e tutti i loro averi. Io che ero già a Roma, dovetti rientrare a Tripoli per aiutare i miei genitori anziani a rientrare in Italia.
La villa con davanti carri armati e autoblindo fu svenduta, e i soldi bloccati nelle banche
Tra le mille difficoltà che dovetti passare, leggi cambiate, uffici pubblici con personale militare, riuscii finalmente a portare i miei genitori, anziani e malati, in Italia.
Nel frattempo mio padre fu nominato prima Cavaliere del Lavoro e poi Commendatore della Repubblica Italiana. Purtroppo dopo qualche anno, nel 1972, mio padre morì senza mai vedere qualche soldo degli indennizzi da parte del governo, anche se trascorse cinquantadue anni in Libia e questo solo per la gloria! Mia madre lo seguì tre anni dopo nel 1975.
Sicuramente hanno guadagnato un posto in Paradiso dove il professore farà da interprete a Dio (non so se parla armeno) per il milione e mezzo di armeni trucidati dai turchi, nel massacro del 1915.

Il figlio KEVORK (Giorgio) NESMEYAN

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