mercoledì 25 novembre 2020

Lettera al quotidiano La Repubblica

 Gentile redazione,

di fronte alla catastrofe umanitaria, come quella che affrontano oggi gli armeni del Nagorno-Karabakh, con migliaia di vittime e di feriti, decine di migliaia di sfollati e di popolazione che abbandona per sempre le proprie case nei territori passati all’Azerbaijan, non è sufficiente, per un grande quotidiano come Repubblica presentare ai lettori le logiche e le preoccupazioni delle parti del conflitto e descrivere i segni lasciati dalla guerra. Occorre anche entrare nel merito: valutare e prendere posizione, a volte con decisione e coraggio. Perché alcune delle preoccupazioni, come quella dello svuotamento dalla sua popolazione autoctona dei territori storicamente armeni, diventata ormai realtà – e cos’è se non una pulizia etnica? - o il palese pericolo della profanazione e distruzione da parte degli azeri del ricchissimo patrimonio archeologico e architettonico armeno lì presente, sono più incombenti delle altre. Preoccupazioni più che fondate se teniamo conto della distruzione, tra il 2005 e il 2006, per mano dell'esercito azero, più di 3000 lapidi e iscrizioni che erano parte di un antico cimitero armeno nella regione del Nakhichevan – un’altra enclave armena, attualmente nel territorio dell’Azerbaijan. Purtroppo, in questi giorni, vengono documentati attraverso foto e video, i danni inferti ai monumenti e la profanazione di chiese presenti nei territori recentemente occupati dagli azeri nel Nagorno-Karabakh. 

La Repubblica non può, e non deve nemmeno tacere sulla natura antitetica delle due leadership politiche del conflitto. Il Primo Ministro Nikol Pashinyan, piaccia o no, esprime il fragile anelito di trasformazione democratica del popolo armeno in un contesto domestico e regionale difficile: dopo la sconfitta in una guerra impari, affronta, l’ostilità dei nostalgici e sostenitori del vecchio regime che ha saputo sloggiare con la “rivoluzione di velluto” del 2018. Ilham Aliyev, per contrasto, è il Presidente di un regime autoritario che, secondo tutti i principali parametri internazionali, sopprime i diritti dell’opposizione, delle minoranze e la libertà di espressione e stampa. Il suo principale alleato è il Presidente turco Erdogan, responsabile storico della sconcertante involuzione autocratica della Turchia negli ultimi anni e di una serie di azioni politico-militari destabilizzanti (Siria, Libia, Mediterraneo orientale, ora il Caucaso, etc.), le cui ricadute pesano anche su di noi.

È in gioco molto di più di quello che sembra, e non ci possiamo permettere di essere spettatori distratti, accettando che passi l’idea dell’aggressione militare come l’unica via per la risoluzione dei conflitti territoriali. È in discussione la nostra collettiva credibilità come Paese e come Europa, nella difesa dei diritti umani fondamentali e della democrazia. È in discussione la vostra credibilità come interpreti del giornalismo più onesto e coraggioso.

 Comitato direttivo di Assoarmeni

 25 novembre 2020

lunedì 2 novembre 2020

IL FLASH-MOB PER LA PACE IN ARTSAKH E CONTRO L'INDIFFERENZA

Promosso da Giovani Armeni di Roma ha visto partecipare tutte le organizzazioni comunitarie armene di Roma, continuando la campagna di sensibilizzazione della società italiana e sollecitando il suo governo di adoperarsi per fermare lo spargimento di sangue in Artsakh (Nagorno Karabakh).