DA
PICCOLO ESULE ARMENO A PROFESSORE,
CAVALIERE
E COMMENDATORE DELLA REPUBBLICA ITALIANA
LA VITA
DI MIO PADRE ABRAHAM
NESMEYAN
Il nonno Giorgio
(Kevork) Nassimian, padre di mio padre Abraham, era di Mardin, città all’estremo
sud orientale della Turchia.
Il nonno aveva
tre figli, due maschi e una femmina.
Uno dei maschi,
appunto mio padre, nacque l’8 giugno 1893. L’altro maschio, cioè mio zio,
emigrò in Venezuela. La femmina,
diventata suora, emigrò in Egitto dove insegnava ai bambini e dove il cugino di
papà, Nassimian, era vescovo degli armeni cattolici a Cairo.
A Mardin, paese
abitato prevalentemente da famiglie armene cattoliche ma anche da turchi, curdi
e arabi, viveva Monsignor Ignazio Maloyan, vescovo della chiesa cattolica
armena che in seguito diventò martire, così come mio nonno che fu ucciso nel
1915.
In questa stessa
chiesa, nonno Giorgio, aveva una stanza adibita a scuola, dove insegnava ai
bambini armeni, turchi, curdi e arabi del paese e dove pure mio padre ricevette
i primi insegnamenti.
I massacri iniziarono
a Costantinopoli e poi dilagarono nei vari paesi della Turchia orientale, quali
Sivas, Erzerum, Trebisonda, Urfa, Mush, Tokat ecc. Poiché
il pericolo si avvicinava a Mardin, il vescovo Maloyan radunò i capi famiglia
armeni, suggerendo di salvare almeno i bambini, poiché nei paesi già citati, questi
venivano infilzati con le spade, davanti alle proprie madri, che dopo stuprate,
venivano uccise pure esse.
Così si preparò
l’esodo dei piccoli con l’aiuto della Croce Rossa e qualche organizzazione
umanitaria. Si radunarono molti
asini e muli, sul cui dorso si legavano 2 ceste, che servivano per trasportare
i bambini, uno a sinistra e l’altro a destra, formando una carovana, che viaggiava
verso sud, verso la Siria,
l’Irak, il Libano, la Palestina.
In questa
carovana, si trovava pure il piccolo Aproham, cioè mio padre di 8-9 anni d’età,
appollaiato in una cesta, dopo aver lasciato i genitori con profonda tristezza.
Dopo un lungo e estenuante
viaggio, stanchi e affamati, giunti in Libano, vennero sistemati un po’ nelle
scuole e un po’ nelle chiese, in attesa di venire smistati in paesi cristiani. Qualche
mese appresso, venne il turno di mio padre, che fu imbarcato su una nave
italiana diretta in Italia. Il
viaggio durò circa otto giorni e appena arrivato a Napoli, il piccolo esule fu
portato a Roma presso il Collegio Armeno Cattolico di Via Nicola da Tolentino,
dove crebbe e studiò con profitto da seminarista, laureandosi in filosofia e
teologia, con il fine di prendere i voti.
In questo
collegio, Aproham conobbe vari seminaristi, alcuni dei quali diventarono
famosi, come il cardinale Agagianian, che prima divenne rettore del Collegio
Armeno e in seguito vescovo e infine cardinale. Nel concistoro che poi nominò
Papa Giovanni XXIII, fu indicato a diventare papa ma egli rifiutò.
Mio padre mi
raccontava che l’amico seminarista Agagianian, da studente, era così
intelligente, che ogni fine d’anno veniva premiato con medaglie e diciture di
encomio in latino. Io ebbi la fortuna di conoscerlo.
Ma torniamo alla
vita di mio padre. Finiti gli studi a Roma, pensò non opportuno prendere i voti
per qualche incertezza e poca convinzione. Il rettore di allora a questo
proposito gli disse “meglio un bravo padre di famiglia che un cattivo prete”.
Essendo a
conoscenza della lingua araba (a Mardin gli armeni parlavano l’armeno, l’arabo,
oltre al turco e al curdo) volle andare a Napoli, all’università Orientale,
dove prese la laurea in lingua araba, al corso di laurea del famoso
orientalista, Preside Nallino, con il quale si laureò. Quindi tornò a Roma per
cercare un impiego.
Al Collegio gli
fu suggerito di andare in Libia che dal 1911 era sotto l’amministrazione
italiana, dove certamente la lingua araba gli sarebbe stata utile. Così
nell’anno 1917 si imbarcò per Tripoli.
In Libia conobbe
le poche famiglie armene di artigiani e qualche commerciante, scampate ai
massacri del 1896-97. Per loro l’arrivo di un letterato e persona colta era un
grande onore e avrebbero gradito di sistemare qualcuna delle loro figliole. Infatti
conobbe una brava ragazza armena, mia madre, e nel 1923 si sposarono.
Ebbero quattro
figli, tre maschi (tra cui io) e una femmina.
Divenuto
cittadino italiano, fu professore nei licei italiani insegnando la lingua araba. Era molto stimato dalle autorità italiane così
come da famiglie notabili arabe, i cui rampolli sotto il regno di re Idris, divennero ministri (i Muntasser, i Caramanli,
i Gritli ecc) mantenendo sempre stima e affetto
per il loro professore. Sotto il ventennio, il governatore della Libia era il
maresciallo dell’aria Italo Balbo, membro del triumvirato, trasvolatore
dell’Atlantico, che partito da Orbetello con 24 idrovolanti Savoia Marchetti visitò
gli Stati Uniti e il Sud America.
Quando Balbo al
suo arrivo a Tripoli fece il discorso alla popolazione araba, a fare la
traduzione simultanea fu chiamato il professor A. Nesmeyan che tradusse pure il
discorso di Benito Mussolini quando ricevette la “Spada dell’Islam” dai libici.
Si viveva in
armonia nel villino di sei stanze, con alberi da frutta e pergola di uva quando
nel 1939 scoppiò la seconda guerra mondiale. Nel 1940 l’Italia entrò in guerra
a fianco della Germania nazista.
Anche le città libiche subirono bombardamenti e nel 1943 gli alleati occuparono
le città. L’Italia lasciò il territorio divenuto terra di occupazione alleata.
Anche sotto
l’amministrazione Britannica, mio padre fu chiamato a lavorare quale interprete
e insegnante nelle scuole.
Dopo la guerra,
l’ambasciata italiana lo convocò offrendogli il posto di traduttore e
interprete giurato. Il susseguirsi di ambasciatori italiani, fu occasione per
mio padre per accompagnarli a presentare le credenziali ai vari ministri e
perfino a Re Idris, avendo avuto la
Libia l’indipendenza nel 1951.
Vi fu un fatto
molto simpatico: dovette accompagnare l’ambasciatore italiano da quello
sovietico che era un armeno e in quella occasione la traduzione fu
simpaticamente fatta in armeno!
La vita
proseguiva abbastanza tranquilla, con molto lavoro, in seguito alla scoperta
del petrolio in Libia tanto che Io lavorai per tredici anni con la Esso Standard.
Il 1° settembre
del 1969, le cose cambiarono drasticamente: un gruppo di ufficiali
dell’esercito, con a capo il sottotenente Gheddafi, fecero un colpo di stato,
cancellando la monarchia e trasformando il paese in una repubblica.
Gli stranieri
dovettero lasciare la Libia
e tutti i loro averi. Io che ero già a Roma, dovetti rientrare a Tripoli per
aiutare i miei genitori anziani a rientrare in Italia.
La villa con
davanti carri armati e autoblindo fu svenduta, e i soldi bloccati nelle banche
Tra le mille
difficoltà che dovetti passare, leggi cambiate, uffici pubblici con personale
militare, riuscii finalmente a portare i miei genitori, anziani e malati, in
Italia.
Nel frattempo mio
padre fu nominato prima Cavaliere del Lavoro e poi Commendatore della
Repubblica Italiana. Purtroppo dopo
qualche anno, nel 1972, mio padre morì senza mai vedere qualche soldo degli indennizzi
da parte del governo, anche se trascorse cinquantadue anni in Libia e questo solo
per la gloria! Mia madre lo seguì tre anni dopo nel 1975.
Sicuramente hanno
guadagnato un posto in Paradiso dove il professore farà da interprete a Dio
(non so se parla armeno) per il milione e mezzo di armeni trucidati dai turchi,
nel massacro del 1915.
Il figlio KEVORK
(Giorgio) NESMEYAN