È con vero piacere ed orgoglio
che questa volta portiamo il ricordo di un grande armeno nato in Iran da
genitori armeni, ma che ha poi deciso di vivere in Italia, diventando anche
cittadino italiano.
Il giornalista Franco Manzoni lo descrive così «Umile,
provocatorio, accogliente, gentile, ironico, incapace di cedere a compromessi,
poliedrico artista, architetto, pittore, scultore, grafico di geniale talento,
creatore di eventi, testi e iniziative per valorizzare e riscoprire oggi i
diversi aspetti della millenaria cultura del suo popolo d’origine» («Corriere
della Sera», 1° dicembre 2009).
Herman Vahramian nasce a Teheran il 29 novembre 1939. Tra il 1953 e il 1956 compie i primi studi di pittura con il maestro Bazil, rinomato ritrattista di formazione accademica occidentale. Nei successivi quattro anni, contemporaneamente al liceo, frequenta corsi di design industriale e giornalismo, nei quali si diploma rispettivamente nel ’58 e ’60. Conseguito il diploma liceale, nel 1960 si trasferisce in Italia.
In seguito torna in Iran temporaneamente, ma nel 1965 si stabilisce
definitivamente a Roma, iscrivendosi alla facoltà di Architettura. Nel
frattempo lavora come ricercatore d’arte mediorientale presso la facoltà di
Architettura del Politecnico di Milano e inizia a frequentare colleghi iraniani
e armeni. Si laurea a Milano nel 1972.
Collabora con i primi divulgatori dell’architettura
armena: Geza De Francovich, Fernanda de’ Maffei, Tommaso Breccia Fratocchi,
Enrico Costa, Paolo Cuneo. Con alcuni di loro fonda al Politecnico il Centro di
Studi Caucasici, Sezione di Armenologia.
Nel 1976 inizia a sviluppare il Centro di Studi Armeni
con documenti, fotografie, bibliografie. Nel 1977 fonda a Milano l’I/COM, Istituto
per la Ricerca delle culture non dominanti, che rimarrà forse la sua esperienza
più significativa, nel corso della quale organizzerà, a Milano e a Parigi,
importanti e innovativi convegni e seminari. Nel 1981, a Monaco di Baviera, crea
con Ludwig Bazil, compositore e violoncellista di origine armena, l’Istituto MUSICAM,
rivolto alla diffusione delle musiche non dominanti.
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Herman con Chiara Negri e Ludwig Basil a Venezia |
Sempre a Milano, insieme a Agopik e Setrag Manoukian, fonda
nel 1985 la OEMME Edizioni, che pubblicherà un gran numero di testi dedicati
all’immenso e trascurato patrimonio architettonico armeno, oltre agli atti dei
seminari I/COM e a prestigiosi volumi fotografici.
Dai primi anni Novanta intensifica l’attività di
scrittura giornalistica (principalmente su «Avvenire») e quella di disegnatore
satirico («Il Manifesto», «Nigrizia»).
Nel 1992 l’editore Tranchida pubblica il volume Diaspora della mente. Conversazioni con
Herman Vahramian di Ornella Rota, Agopik Manoukian e Andrea Beolchi. Nel
2002 le edizioni Medusa danno alle stampe Il
“pensiero nano” al tempo della globalizzazione.
Si spegne il 26 settembre 2009 dopo lunga malattia a
Milano, dove lascia la moglie Chiara e Pietro, il figlio adorato.
(Chiara Negri Vahramian)
Così, invece arch. Vahè
Vartanian ricorda la storia con l’amico Herman che ebbe inizio a Roma negli
anni Sessanta.
Herman fece ritorno a Roma con un’ottima conoscenza della
lingua italiana e dell’architettura.
Sugli altri studenti aveva grandi vantaggi, soprattutto per la sua capacità di
esprimersi sulla carta; le sue doti gli avevano aperto ampie possibilità presso
gli studi professionali dei professori e degli assistenti. Fondamentale era il
rapporto con Paolo Cuneo (all’epoca assistente), con lui e con molti altri
entrò a far parte di un gruppo di accademici che misero a punto la prima
esposizione di architettura medioevale armena a Palazzo Venezia. L’imponente catalogo uscì per i tipi di De Luca
nel 1968; in seguito furono pubblicati altri due preziosi volumi sempre
dedicati all’architettura medioevale armena.
Dapprima Herman alloggiava dagli amici iraniani di Ponte Milvio, Jamshid Banan, Reza, Daryush Radpour, Daryush Zamani e Sasan. In seguito si trasferì a casa mia, dove abitavano anche Francesco Capponi, Fereydun Zavosh, Behzad Nahjur e Parviz Hatamzadeh, oggi tutti assai noti in Iran e negli Stati Uniti.
Tra gli amici armeni che frequentavamo c’erano i fratelli Bernardi, Teodoro e Gabriele (nonostante il cognome italiano, possedevano legami e parentele iraniane), Haik Panossian (oriundo di Bagdad, ora a Londra), il pittore Alfonso Avanessian, di Tehran, Rita Cimara Zarian e Giorgio Momjian, libanese.
Più tardi Herman si trasferì a Milano, dove anni in seguito si laureò presso il Politecnico e sviluppò altre prospettive artistiche e culturali, con la ricorrente presenza dei fratelli Manoukian, Armen – pure lui architetto – ed Agop.
Sempre assai impegnato sia sul versante sociale che su quello artistico, frutto della sua attività furono numerose pubblicazioni in più lingue con altri accademici o/e armeni noti alla nostra comunità. Insieme al professor Adriano Alpago Novello essi hanno portato avanti la catena di congiunzione tra Armenia ed Iran, passando per Roma e giungendo fino a Milano. Tutto questo lavoro è oggi archiviato sotto la sigla dell’OEMME Edizioni presso il Centro Studi e Documentazione della Cultura Armena (CSDCA) di Venezia. Le personalità dei pionieri che vi presero parte e seppero esportare nel mondo la cultura armena hanno un grande peso nella breve e prestigiosa storia della diaspora italiana e non devono essere dimenticate, così come lo studio dei materiali e i rilievi di assoluta precisione e qualità, frutto della collaborazione con le università armene e con noti studiosi e architetti delle Facoltà di Architettura di Yerevan, di Teheran, di Roma e di Milano. Herman e i fratelli Manoukian rappresentano altrettanti essenziali anelli di un medesimo percorso.
(Vahè Vartanian)