23 anni fa la furia della devastante onda tellurica che fece sussultare tutta la terra armena, ha portato via più di 25000 vite e cambiato irrimediabilmente i destini dei sopravissuti. La catastrofe naturale che alle 11.41 ha fermato l’orologio della piazza di Gyumri, la seconda città dell’Armenia, ha segnato profondamente la vita degli armeni dividendola, come uno spartiacque, in prima e dopo il 7 dicembre.
Il sisma di magnitudo 7,1 della scala Richter rase al suolo la città di Spitak e 58 villaggi circostanti, provocò la distruzione parziale delle città di Gyumri (Leninakan), Vanadzor (Kirovakan) e Stepanavan, coinvolgendo in tutto circa il 40 % del territorio dell’allora repubblica sovietica armena.
L’elevato numero dei morti e gli ingenti danni furono dovuti alla vastità della zona dell’epicentro (50-60 km), alla lunga durata delle scosse, per cui le frequenze di oscillazione del sisma erano prossime a quelle degli edifici, moltiplicando di conseguenza molte volte la sua forza devastante. Così interi palazzi di 9 piani, a pannelli in cemento armato, sono implosi su se stessi seppellendo sotto i lugubri cumuli di detriti decine di miglia di vite. Ma non fu tutta colpa della natura. Il disastro ha messo a nudo irregolarità e manomissioni dell’edilizia sovietica e, in particolare, l’inadeguatezza delle normative e dei criteri per la costruzione in una zona ad alto rischio sismico.
Lunga e dolorosa è stata l’elaborazione del lutto, la rimarginazione delle ferite fisiche e morali, così come lunga e faticosa la ricostruzione.
Gli Armeni non dimenticheranno mai la straordinaria solidarietà dei numerosi paesi del mondo (111 paesi) e in particolare, la mano tesa dagli Italiani arrivati fra i primi in Armenia, contribuendo a lungo e in maniera incisiva in tutte le fasi della ricostruzione.
molto interessante.
RispondiEliminaHagop